giovedì 13 agosto 2009

RIFLESSIONI .. e ACCELERAZIONI

Ricevo una newsletter di Manuel Lugli, leggo velocemente e pubblico a tutti voi il messaggio che contiene: amore, dedizione, calma Signori!
"[...] Riflessioni che vi porgo con tutta la delicatezza, l'umiltà e l'incertezza d'obbligo in questi casi.La prima riflessione riguarda il tempo. E' innegabile che il tempo nell'alpinismo d'alta quota, così come nella quasi totalità delle attività umane, ha subito una compressione enorme, una verticalizzazione che vede l'asse x del tempo accorciarsi sempre più e quella dell'attività alpinistica y allungarsi in maniera inversamente proporzionale. Sono sempre di più gli alpinisti che concentrano attività, salite sempre più impegnative, complicate, rischiose in un tempo sempre più ridotto. Le tappe vengono bruciate: dalle Alpi all'Himalaya nel giro di un anno o al massimo due. Quindici o venti anni fa tentare un ottomila era roba da professionisti; tentarne più di uno a stagione era riservato a fuoriclasse dell'altitudine. Ora, sempre più spesso, gli ottomila diventano due, tre a volte quattro a stagione - spesso con imponenti dispiegamenti di forze, diciamo così, "esterne", come negli ultimi casi delle scalatrici coreane. Ma l'esperienza non si accumula, l'istinto non si affina, la tecnica non si sviluppa in uno, due e nemmeno tre anni. L'alta quota richiede più spesso la pazienza del tentativo e della rinuncia, che non la furia nella ricerca di un successo accelerato; tentativi che ogni volta insegnano qualcosa, distillando esperienze che fanno il bagaglio di un alpinista preparato. Cassin è arrivato al Gahserbrum IV dopo trent'anni di attività. Messner ha salito il suo prima ottomila nel 1970, l'ultimo nel 1986: sedici anni; Mondinelli il suo primo ottomila nel 1993, l'ultimo nel 2007: quattordici anni. Fausto De Stefani il primo nel 1983, l'ultimo nel 1998: quindici anni. Giusto per fare esempi conosciuti. Altri tempi direte. Forse, ma certi numeri raccontano più di tante parole.L'altra riflessione riguarda l'esposizione mediatica che si intreccia inevitabilmente con l'accelerazione di cui sopra. Per "bucare", mediaticamente parlando, occorre esagerare e per farlo non vi sono che due modi: trasformare salite "normali" - per quanto in quota - in imprese epocali o, appunto, spingere sul gas e tentare ciò che non è mai stato tentato, rischiare ciò che non è mai stato rischiato (magari per oggettiva saggezza...). Anche in questo caso una gran parte degli alpinisti - che siano professionisti o dilettanti - è figlia di questi tempi mediatizzati e non fa altro che seguire un mainstream ormai difficilmente arrestabile. Con tutti i rischi che questo comporta. Molto ci sarebbe da dire, mentre lo spazio di un newsletter non basta nemmeno ad iniziare un confronto su temi così impegnativi e che spesso oltrepassano il mondo autoreferenziale dell'alpinismo d'alta quota. Queste brevi note vogliono solo essere un piccolo spunto per riflettere su un alpinismo che avrebbe sempre più bisogno - come anche il resto del mondo - di una decrescita felice."
Manuel Lugli

1 commento:

Enrico ha detto...

Hai ragione. Il sistema attuale ti porta ad "accelerare" per avere visibilità e ritorno mediatico, cioè per avere successo.
Trovare una strada personale con tempi "normali" significa rinunciare QUASI sicuramente a questo. A noi la scelta.